Come Unione Donne Sammarinesi, abbiamo riflettuto a lungo se intervenire o meno con nostre considerazioni riguardanti il caso degli abusi di carattere sessuale subiti da una minore nei giorni scorsi a San Marino. La magistratura sta procedendo e giustamente non ci sono abbastanza informazioni note al pubblico, data anche la minore età della vittima, che deve essere protetta.
UDS non vuole processi svolti sui media né la gogna pubblica per gli accusati. Quello che però sente di poter affermare è la necessità di una riflessione sulla violenza di genere e su quella che viene definita “rape culture”, cioè una “cultura dello stupro” – purtroppo molto diffusa – che minimizza la violenza sessuale contro le donne e/o dubita della testimonianza delle vittime. Frasi come “ho fatto solo lo stupido”, “sono solamente ragazzi”, “stavano giocando”, ma poi lei “indossava una gonna troppo corta”, “era ubriaca”, “se l’è cercata” sono ancora troppo comuni quando si commentano violenze di genere, come purtroppo abbiamo visto in questi giorni, non solo nel caso sammarinese ma anche in quello, ben più mediatico, del figlio di Beppe Grillo.
Negli ultimi anni, la violenza di genere è stata oggetto di dibattito pubblico da parte della società civile e internazionale. È ritenuta oggi una problematica sempre più attuale dal momento che, come dichiara l’Eurostat, una donna su tre ha subìto almeno una volta nella vita una violenza fisica e/o sessuale fin dall’età di 15 anni.
La Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (2011), firmata anche da San Marino, definisce violenza di genere “una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne; che comprende atti che provocano sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce” (Art. 3) e afferma che i paesi dovrebbero esercitare la dovuta diligenza nel prevenire la violenza, proteggere le vittime e perseguire i colpevoli (art. 5). Gli art. 5 e 6, inoltre, stabiliscono, tra le altre cose, due punti che a noi sembrano decisivi: il primo, che dichiara l’obbligo per gli Stati firmatari di prevenire il verificarsi della violenza attraverso misure che mirino a cambiare atteggiamenti, ruoli di genere e stereotipi che rendono accettabile la violenza contro le donne; il secondo, che chiede agli Stati firmatari di perseguire gli autori di violenza, consentendo la prosecuzione delle indagini e dei procedimenti penali anche se la vittima ritira la denuncia.
Interessante è anche la ricognizione sui limiti della legislazione fatta durante la presidenza sammarinese del Consiglio d’Europa (2006-2007) e pubblicata sul sito della Segreteria agli Esteri: la ricognizione, pur riconoscendo che l’apparato normativo relativo alla violenza sessuale nel codice penale sammarinese è adeguato, sottolinea però che la protezione è limitata dal fatto che la procedibilità di tali misfatti è a querela. La procedibilità d’ufficio sarebbe invece molto più in linea con le indicazioni della Convenzione di Istanbul.
La mentalità si cambia con l’educazione, con leggi apposite, con la modifica del linguaggio con cui si parla e si definisce la violenza di genere. Cultura e legalità procedono insieme e l’una senza l’altra è inefficace.
UDS dunque chiede con forza che i media utilizzino il linguaggio giusto nel riportare casi di cronaca che coinvolgono violenza di genere e che la legislazione sammarinese rispetti le indicazioni della Convenzione di Istanbul per perseguire i reati di violenza di genere.
Comunicato Stampa n. 37 del 29 aprile 2021
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