Storia della conquista dei diritti delle donne a San Marino
Nel diritto sammarinese, fin dalle epoche più remote, lo status della donna veniva equiparato a quello del minorenne, essendo poste sullo stesso piano la imbecillitas femminile e la inconsultatio del ragazzo ancora minorenne.
La donna viveva sempre sotto la tutela di qualcuno: il padre, i parenti, il marito. Non poteva gestire in proprio neppure i suoi beni personali.
Gli statuti sammarinesi del 1600, le Leges Statutae Sancti Marini, riprendendo ed ampliando concetti già codificati negli statuti precedenti, specificavano chiaramente che il marito aveva la facoltà di alienare i beni dotali della moglie senza che questa potesse fare nulla o quasi.
Questo stato di inferiorità sociale e politica rimane pressoché inalterato per tutta la storia di San Marino, attraversando il Settecento (nonostante l’Illuminismo e la Rivoluzione Francese in Europa), l’intero Ottocento e la prima metà del Novecento1.
Il diritto di voto attivo
Nell’immediato dopoguerra, laddove le donne italiane cominciarono a vedere riconosciuti alcuni diritti fondamentali di uguaglianza, nella Repubblica di San Marino persistevano ancora usi e leggi che restringevano il ruolo della donna a persona sotto completa tutela. Basti pensare alla legge elettorale del 15 ottobre 1920 n. 18 che stabiliva che, per potere essere elettori attivi o passivi, era necessario essere cittadini sammarinesi maggiorenni, originari e naturalizzati con l’esclusione delle donne, degli interdetti e inabilitati per infermità mentale e dei condannati alla interdizione perpetua e temporanea della piena capacità giuridica e a pene criminali per reati e per corruzioni elettorali. Nel 1920, quattordici anni dopo la riconquista dei diritti elettorali per il popolo sammarinese che, con l’Arengo del 25 marzo 1906, interruppe la gestione oligarchica del potere e ristabilì l’elezione del Consiglio Grande e Generale attraverso libere elezioni, la donna veniva quindi equiparata agli infermi mentali, come se il genere sessuale fosse una forma di inabilità bisognosa di tutela.
Dopo il suffragio universale ottenuto dalle donne in Italia2 con le elezioni del 1946, a San Marino passarono ancora diversi anni prima che si muovessero i primi passi verso la concessione del diritto di voto alle donne.
Alle elezioni politiche del 16 settembre 1951 scesero in campo quattro forze politiche: il Partito Comunista, il Partito Socialista, l’Associazione Patriottica del Lavoro (APIL) e per la prima volta la Democrazia Cristiana. L’esito elettorale vide una coalizione di governo social-comunista con una maggioranza di appena 31 seggi contro i 29 dell’opposizione.
A quell’epoca San Marino aveva l’unico governo social-comunista di tutta l’Europa Occidentale e ciò lo poneva sotto la stretta osservazione di tutte le nazioni europee e degli Stati Uniti d’America che, si suppone, non disdegnavano un appoggio quantomeno morale a coloro che contrastavano la maggioranza in essere.
In ogni caso in quel periodo sia la Democrazia Cristiana che l’APIL si espressero più volte favorevolmente alla concessione del voto alle donne e furono numerose anche le Istanze d’Arengo che vennero depositate sull’argomento. Clemente Reffi ne presentò una il 7 ottobre 1951. Il governo social-comunista sammarinese rispose per bocca di Domenico Morganti, all’epoca Segretario di Stato per gli Affari Interni, il quale pose in evidenza come, non godendo la cittadina sammarinese ancora completamente dei pieni diritti civili, apparisse prematuro parlare di diritti politici. La donna infatti era ancora oggetto di tutela del maschio, in uno stato legislativo di incapacità di potere disporre liberamente di sé e dei propri beni, segno certo di una arretratezza pesante e non al passo con le riforme che si stavano portando avanti nella vicina Repubblica Italiana e nel resto d’Europa.
La minoranza democristiana, rappresentata da Teodoro Lonfernini e da Federico Bigi, replicò dichiarando il proprio appoggio alla concessione del voto alle donne e affermando che la questione non era più rinviabile in quanto i diritti politici erano svincolati dagli altri diritti.
Si rileva qui come la tematica del diritto di voto alle donne fosse usata in modo strumentale dall’allora minoranza, visto che non si proponeva una riforma globale dell’ordinamento che regolamentava i diritti delle donne sammarinesi, ma l’esame di una sola tematica, guarda caso particolarmente rilevante per una futura vittoria elettorale. Di contro va rilevato che i partiti della sinistra sammarinese non avessero alcuna intenzione di esaminare la questione, in netta contrapposizione agli omologhi partiti italiani che invece avevano sostenuto la riforma in Italia.
Negli anni successivi al 1952 vennero presentate altre Istanze d’Arengo simili, discusse sempre con lo stesso esito negativo e con una contrapposizione netta tra i fronti di maggioranza e opposizione.
La Democrazia Cristiana organizzò proprio nel 1951 il suo Movimento Femminile, nato ufficialmente il 30 novembre su spinta di Maria Rosaria Cesarotti Masi che avviò tale organizzazione su basi di profondo integralismo cattolico. Il 1° settembre 1954 il Movimento Femminile pubblicò un manifesto con una vibrata protesta per la mancata concessione del diritto di voto alle donne.
Da questo movimento nacque poi, nel 1955, il Comitato per l’emancipazione della donna sammarinese sempre all’interno del Partito Democratico Cristiano Sammarinese che continuò, con maggiore forza, a portare avanti la battaglia per il diritto di voto. Fa la sua comparsa sulla scena una giovane cittadina sammarinese e militante democristiana, Myriam Michelotti.

“Donna Sammarinese! Conquista il tuo diritto al voto lavorando con tutte le forze contro i social-comunisti”. Intorno al 1955 con questo e altri slogan la questione del diritto di voto alle donne assunse una connotazione di lotta politica legata al periodo storico.
Come Myriam Michelotti stessa scrive: “Il Movimento per l’Emancipazione si proponeva di portare avanti una situazione nuova nei confronti delle donne e si prefiggeva di dare un cambiamento e di concretizzare una realtà verso la quale la donna non doveva, non poteva rimanere indietro: il diritto al voto e cioè di votare ed essere votata. Le donne sammarinesi affrontarono la battaglia per questo diritto con grande entusiasmo, forse anche perché la donna in quel momento era fortemente condizionata da diverse situazioni, ed il rifiuto dell’impegno politico le dava più forza e combattività. Il continuo rifiuto voleva riuscire a convincere che facendo politica la donna sarebbe stata distolta dai doveri di donna, di moglie e di madre”.
La data scelta per il primo evento pubblico del Comitato fu il 6 marzo a ridosso della Giornata Internazionale della Donna, ottenendo anche la presenza delle telecamere della da poco nata televisione pubblica italiana e avviando uno scambio di note e comunicati di protesta con il Partito Comunista. Ricorda la Michelotti: “L’anticipo su quella data stava appunto a dimostrare che le donne di San Marino, pur governate dai social-comunisti che, contrariamente a quanto avvenuto in Italia, ci avevano sempre negato tutto, potevano e sapevano destreggiarsi anche da sole, senza doversi unire ad altri festeggiamenti pur se esclusivamente dedicati alle donne”.
Myriam Michelotti nel corso della sua attività incorse in alcuni episodi connotati da villania e dileggio. Durante una giornata in cui, per fare campagna all’azione del Comitato, si prodigò ad affiggere ovunque manifesti aiutata dai suoi due nipotini ricorda: “Dopo poche ore non avevamo più neppure un manifesto ed anche se avevamo preso un gran freddo, eravamo tutti e tre proprio contenti e soddisfatti. Immaginabile il mio stupore quando, tornata in piazza, constatai che il manifesto (quello maggiormente esposto all’attenzione generale) era stato strappato! Ma questo sarebbe stato poco: al suo posto, fra i pochi frammenti rimasti tenacemente attaccati al muro, vi era stato lanciato dello sterco! Senza contare le parolacce con le quali mi aggredì un sammarinese indubbiamente contrario alle nostre idee”.

La battaglia del Comitato proseguì con l’organizzazione di convegni e momenti di incontro mirati a discutere la posizione della donna nella società sammarinese.
Tuttavia l’allora maggioranza social-comunista continuava a negare i diritti politici alle donne sammarinesi nonostante il Comitato non mancasse mai l’occasione di sottolineare quanto “in Italia i social-comunisti sono i sostenitori dei diritti della donna e a San Marino fanno orecchie da mercante”.
La tesi portata avanti dalle componenti del Comitato per l’emancipazione della donna sammarinese, tra le quali si ricorda oltre a Myriam Michelotti anche Maria Antonietta Bonelli, era quella della paura della maggioranza social-comunista di allora, uscita indebolita dalle elezioni del 1951, di arrivare alle consultazioni ormai alle porte con un elettorato, quello femminile, prettamente cattolico e molto numeroso.
Difatti, le elezioni politiche del 14 agosto 1955 vide la Democrazia Cristiana fermarsi a 23 seggi, il Partito Socialista Democratico a 2, il Partito Socialista a 16 ed il Partito Comunista a 19. La maggioranza, uscendo apparentemente rinforzata con 35 seggi, fu nuovamente social-comunista ma progressivamente l’alleanza tra PSS e PCS si sfaldò fino ad arrivare ai “fatti di Rovereta” che portarono ad un nuovo governo guidato dal Partito Democratico Cristiano Sammarinese. Con la nuova forza democristiana al potere, da sempre proclamatasi favorevole al diritto di voto delle donne, il Comitato pensò che i tempi per il riconoscimento dei diritti delle cittadine sammarinesi fossero arrivati. Ma così non fu e le aspettative del Comitato vennero deluse.
Ecco i fatti: il diritto di voto alle donne venne concesso finalmente con la legge elettorale del 23 dicembre 1958 n. 36 dove all’articolo 59 si stabiliva:
Art. 59.
La decorrenza della estensione alle donne del diritto elettorale attivo sarà determinata con successivo provvedimento legislativo da emanarsi entro il 30 aprile 1959.
In pratica il diritto di voto attivo alle donne sammarinesi doveva essere esteso obbligatoriamente con una legge entro il 30 aprile 1959. Nell’ultimo giorno disponibile, con la legge 29 aprile 1959 n. 17, il Consiglio Grande e Generale guidato dal Partito Democratico Cristiano Sammarinese emanò all’unanimità la legge che estendeva il diritto di voto attivo alle donne nella Repubblica di San Marino. La legge, composta di un articolo unico, stabiliva:
Articolo unico.
Ai sensi dell’art. 59 della legge elettorale del 23 dicembre 1958, n. 36, la decorrenza della estensione alle donne del diritto elettorale attivo è fissata al 1° gennaio 1960.
Se da un lato il voto alle donne venne formalmente concesso con la legge elettorale 23 dicembre 1958, lo stesso fu accordato con decorrenza 1° gennaio 1960 e quindi, di fatto, le donne furono volutamente escluse dalle elezioni politiche previste per il 13 settembre 1959. Le promesse fatte negli anni precedenti dagli uomini di punta democristiani di volere concedere da subito il suffragio universale non si realizzarono. La delusione fu talmente grande che il Comitato per l’emancipazione della donna sammarinese cessò in pratica la sua attività.
Viene da chiedersi perché la decorrenza del diritto di voto attivo alle donne non sia stata immediata consentendo alle donne di poter partecipare alle elezioni politiche del 13 settembre 1959. Viene inoltre da chiedersi come mai la Democrazia Cristiana non avesse incluso anche il voto passivo nella legge del 1958 date le sue costanti esternazioni a favore dei pieni diritti politici delle donne. Tutto questo lasciò le donne con l’amaro in bocca ma non sarebbe stata l’ultima volta nella storia delle lotte per i diritti delle donne sammarinesi.
In ogni caso la legge entrò in vigore dal 1º gennaio 1960 e solo con l’elettorato attivo. Le donne sammarinesi poterono esprimere per la prima volta il proprio voto solo quattro anni dopo con le elezioni politiche del 13 settembre 1964.
Le donne sammarinesi votarono per la prima volta 18 anni dopo le loro vicine italiane.
La posizione dei partiti di sinistra sammarinese non è stata chiara fino alla fine degli anni ’50 del Novecento. Dalla concessione del diritto di voto alla donna sammarinese, i partiti della sinistra temevano, mentre erano al governo del Paese, uno sbilanciamento a loro sfavore del corpo elettorale in caso venisse concesso maggior spazio politico alle donne. Lidia Bacciocchi sostiene: “Il governo di sinistra, nonostante tutto, non arrivò mai ad una ferma e convinta decisione di concedere il diritto di voto alla donna, in parte perché era sicuro che la donna fosse ancora politicamente immatura. Inoltre, le sinistre temevano che le preferenze elettorali delle donne sarebbero state rivolte alle formazioni di ispirazione cattolica, data la loro maggiore predisposizione al condizionamento da parte di un clero pienamente allineato con la DC”.
Maggiore attivismo venne riscontrato mentre i partiti di sinistra si trovarono all’opposizione o stavano per andarci. Il Movimento Femminile del Partito Socialista, il 30 giugno 1957, sottolineò sull’organo di partito “Il Nuovo Titano” l’esigenza di recuperare il tempo perduto sul fronte dell’impegno politico a favore delle donne, fino a quel punto appannaggio del movimento femminile democristiano che, sottolineavano i socialisti, portava avanti la battaglia per mero calcolo politico e non per amore di democrazia. Sono le settimane precedenti ai “fatti di Rovereta” e si stava profilando il cambio di governo dopo dodici anni di leadership social-comunista. Sempre nella medesima testata politica i socialisti sottolineeranno nel 1964 che: “l’estensione del diritto attivo non accompagnato da quello passivo viene interpretato come un segnale del prevalere dei calcoli politici sugli ideali di democrazia sventolati dal governo roveretiano”.
Insomma su un diritto fondamentale della democrazia le donne si sono viste, più volte nella storia, preda strumentale dell’una o dell’altra fazione politica.
Il Partito Comunista Sammarinese attiva al suo interno l’Unione Donne Democratiche Sammarinesi (UDDS), al cui vertice c’è Marina Nanni, moglie dell’allora Segretario Generale della Confederazione Sammarinese del Lavoro (CSdL) e dirigente del Partito Comunista Mario Nanni. È significativo notare come la signora Marina, come altre donne della sinistra sammarinese, usasse il cognome del marito anziché il proprio come le donne dei partiti più conservatori.
Il gruppo femminile del PCS è molto legato all’Unione Donne Italiane (fondata il 15 settembre 1944 ma costituita ufficialmente il 1º ottobre 1945), con cui mantiene uno scambio di corrispondenza e da questo riceve sostegno con materiale e visite di dirigenti del movimento italiano.
Il diritto di voto passivo
Con la legge 10 settembre 1973, n.29 sulla Parificazione dei diritti della donna le donne sammarinesi ottennero tutti i diritti politici e l’elettorato passivo. Alcuni particolari della legge:
Art. 2
E’ abolita qualsiasi restrizione che impedisca alla donna di assumere cariche, impieghi e funzioni pubbliche.
Art. 4
La presente legge entra in vigore il 1° ottobre 1973.
Oltre al diritto di voto passivo, la legge concedeva alle donne anche la possibilità, è il caso di dirlo, dopo secoli, di poter liberamente disporre dei propri beni non dotali. Siamo nel 1973!
Art. 3
L’art. 1 della legge 22 dicembre 1953 n. 35 è modificato come segue:
La donna maggiorenne, nubile o maritata, può liberamente alienare, sottoporre ad obbligazione cambiaria e comunque obbligare i beni e le ragioni non espressamente costituiti in dote.
Non si considerano dotali i beni comunque ricevuti dalla donna, anche per successione dal padre o dall’avo paterno o da chicchessia, ove non siano costituiti espressamente in dote con apposito atto tra i vivi o mortis causa.
La legge, oltre a consentire alle donne sammarinesi l’accesso al Consiglio Grande e Generale, aprì anche la possibilità di accedere alla Suprema Magistratura, ma bisogna aspettare ancora 8 anni, il 1º aprile 1981, per vedere entrare in carica la prima donna Capitano Reggente, Maria Lea Pedini. Inoltre, con una legge di poco successiva (legge 25 ottobre 1973 n. 36) le donne ebbero accesso anche all’eleggibilità nelle Giunte di Castello.
Le donne potranno candidarsi per la prima volta alle elezioni politiche dell’8 settembre 1974.
Le prime donne ad essere elette nel Consiglio Grande e Generale furono: Clara Boscaglia (PDCS), Fausta Simona Morganti (PCS), Anna Maria Casali (PCS) e Marina Busignani Reffi (PSS). Quest’ultima rinunciò al suo posto in Consiglio per incompatibilità dovuta all’elezione del marito Giordano Bruno Reffi.


Da segnalare anche che Anna Maria Casali restò in Consiglio Grande e Generale per un periodo limitato visto che amava un “forestiero”, un italiano di fuori confine, per sposare il quale perdette la cittadinanza e non poté più ricoprire il suo ruolo di parlamentare non essendo più cittadina del Paese che l’aveva eletta.
Clara Boscaglia divenne inoltre parte del governo appena eletto assumendo il ruolo di Deputato ai Lavori Pubblici dal 1974 al 1976, fu quindi la prima donna nella storia sammarinese a ricoprire il ruolo di “Ministro”. Fu anche la prima donna Segretario di Partito e anche la prima donna Capogruppo Consiliare. Clara Boscaglia sarà rieletta anche negli anni a venire con un consenso vastissimo e rimarrà riconfermata fino alla sua morte avvenuta nel 1990 a soli 59 anni.


Fausta Simona Morganti ha fatto parte del Congresso di Stato dal 1978 al 1992, assumendo le deleghe alla Pubblica Istruzione, Giustizia, Cultura e Università. Come Segretario di Stato ha promosso la realizzazione dell’Università, ha attuato riforme del sistema scolastico e ha sostenuto i movimenti culturali sammarinesi. Nel 1985 ha attivamente sostenuto la fondazione dell’Accademia Internazionale delle Scienze San Marino (AIS) e dell’Università degli Studi della Repubblica di San Marino. Nel 2005, dopo oltre 30 anni di impegno attivo nella politica sammarinese, viene eletta Capitano Reggente.
Dal 1974 le donne sammarinesi assunsero finalmente un ruolo attivo nelle istituzioni dello Stato, ben 28 anni dopo le loro vicine italiane.
Referendum del 1982













La Reggenza al femminile
Nonostante la millenaria storia dell’istituzione sammarinese bisogna attendere il 1981 per vedere una donna ricoprire la più alta carica dello Stato con Maria Lea Pedini. Da quel 1° aprile 1981, che segna una svolta importante nella storia della partecipazione femminile alla vita politica di San Marino, sono passati diversi decenni, ma le donne ancora oggi faticano ad arrivare al ruolo di Capo di Stato.
Ecco l’elenco delle donne che hanno ricoperto la carica di Capitano Reggente con la data di inizio mandato:



















Da notare che su circa 2.500 cariche reggenziali registrate nella storia sammarinese solo 23 sono state ricoperte da donne3 con solo una Reggenza totalmente femminile nel 2017.
NOTE:
1 In varie leggi di fine XIX secolo le donne sono ancora equiparate ai minori, ad esempio nella legge del 10 dicembre 1884 sulle controversie innanzi il conciliatore, la donna poteva contrarre obbligazioni davanti al Conciliatore limitatamente ai suoi beni extradotali e, se sposata, solo con il consenso del marito. Anche nella legge 23 maggio 1914 n.14 sulla sospensione della esecuzione delle sentenze penali di condanna le donne vengono equiparate ai minori di diciotto anni.

2 Il 30 gennaio del 1945 con l’Europa ancora in guerra e il nord Italia sotto l’occupazione tedesca, durante una riunione del Consiglio dei ministri italiano si discusse del suffragio femminile che venne sbrigativamente approvato come qualcosa di ovvio o, a quel punto, di inevitabile. Il decreto fu emanato il giorno dopo: potevano votare le donne con più di 21 anni ad eccezione delle prostitute che esercitavano «il meretricio fuori dei locali autorizzati». Nel decreto venne però dimenticato un particolare non da poco: l’eleggibilità (voto passivo) delle donne che venne stabilita con un decreto successivo, il numero 74 del 10 marzo del 1946.
La prima occasione di voto per le donne furono le amministrative del 1946: risposero in massa, con un’affluenza che superò l’89 per cento. Circa 2 mila candidate vennero elette nei consigli comunali, la maggioranza nelle liste di sinistra.
La stessa partecipazione vi fu per il referendum del 2 e 3 giugno 1946, indetto per determinare la forma di stato (monarchia o repubblica) da dare all’Italia dopo la Seconda Guerra Mondiale.
Contemporaneamente al referendum i cittadini italiani furono chiamati ad eleggere anche i componenti dell’Assemblea Costituente che doveva redigere la nuova carta costituzionale. Le elette alla Costituente (su 226 candidate) furono 21 pari al 3,7 per cento: 9 della Democrazia Cristiana, 9 del Partito Comunista, 2 del Partito Socialista e una dell’Uomo qualunque. Cinque deputate entrarono poi a far parte della “Commissione dei 75”, incaricata dall’Assemblea per scrivere la nuova proposta di Costituzione. Alla socialista Merlin si deve la specifica della parità di genere inserita all’articolo 3.
3Dato aggiornato ad aprile 2023.
Bibliografia
RONDELLI, L’Unione Donne Sammarinesi e la conquista della cittadinanza, San Marino, Fondazione XXV Marzo, 2013
BARZETTI (a cura di), Donne tenaci di San Marino, San Marino, AIEP Edizioni, 1983
MASI, Le formicole del Sagrado, San Marino, Studiostampa, 1992
UGOLINI, Da Femina a Cittadina. La condizione politica della donna a San Marino, San Marino, AIEP Edizioni, 2005
M. MAZZA, La donna sammarinese, catalogo della Mostra “E qualcuno si ricorderà, una volta, nel tempo”, Bologna, Minerva Edizioni, 2006
Fonti