Oriana Liso di Repubblica parla di noi

Pubblicato da Unione Donne Sammarinesi il

L’aborto illegale: a San Marino le donne raccolgono le firme per un loro diritto

DI ORIANA LISO

Sono nata nel 1975. Il divorzio in Italia era legale da cinque anni, l’anno prima un referendum l’aveva confermato e quell’anno il diritto di famiglia veniva riformato con l’abolizione, almeno sulla carta, della figura dell’uomo capofamiglia. Quando avevo 12 anni mia madre – donna nata alla fine degli anni Trenta del secolo scorso – con la naturalezza di chi non usa edulcorare pillole, raccontava a me, quarta figlia non attesa: “Quando ho scoperto che ero incinta l’aborto non era legale, e quindi non ho potuto fare niente”. Me lo raccontava, appunto, come una informazione necessaria per capire quanto lunga era stata la strada per un diritto. Lo sarebbe diventato tre anni e molte battaglie dopo. L’aborto – la possibilità per una donna di scegliere l’aborto – è legale, con buona pace delle associazioni ProVita e dei manifesti che ciclicamente attaccano davanti agli ospedali dove si pratica l’interruzione di gravidanza per colpevolizzare chi fa questa scelta (ultimo caso a Torino).

Non è così ovunque, e non è così a pochi passi da noi. Nel cuore dell’Italia ci sono due stati – la Repubblica di San Marino e lo Stato del Vaticano – dove abortire è illegale. Sempre, senza eccezioni. Ma un gruppo di donne sammarinesi, adesso, vuole provare a cambiare le cose.

San Marino, dove il tempo si è fermato

L’articolo 153 del codice penale della Repubblica di San Marino del 1974, aggiornato nel 2019, recita testuale: “La donna incinta che si procura l’aborto e chiunque vi concorra sono puniti con la prigionia di secondo grado. Alla stessa pena soggiace la persona che procura l’aborto alla donna maggiore degli anni 21 col libero e consapevole consenso di lei. Si applica la prigionia di terzo grado se il fatto è commesso senza il consenso della donna; se il colpevole fa mestiere di pratiche illecite o agisce per fine di lucro;  se in conseguenza dell’aborto la donna incinta muore o subisce una lesione grave. Si applica la prigionia di terzo grado congiunta all’interdizione di quarto grado, se il colpevole esercita una professione sanitaria”.

Da 3 a 6 anni di carcere. Senza eccezioni: non si può interrompere una gravidanza in caso di stupro sulla donna, di gravi malformazioni del feto, di pericolo di vita per la donna o per lo stesso feto. Nessuna. San Marino, anno 2021. Quando leggiamo di Paesi – vedi la Polonia, per restare nel nostro continente, e su questo Tonia Mastrobuoni ne ha scritto qui su Repubblica – nei quali governi ultrareazionari stanno restringendo il campo delle libertà per l’aborto, ricordiamoci che c’è chi quel diritto non l’ha mai ancora avuto. La spiegazione sembra, è, sotto gli occhi di tutti, nel nome stesso di quello stato: San Marino, dedicato a un santo, Paese cattolico e antichissimo, dove finora nessuno dei partiti andati al governo ha cambiato la legge. Ovviamente, vale l’antica regola: occhio non vede, cuore non duole, e quindi basta spostarsi di venti chilometri, entrare in Italia e andare in una qualsiasi clinica di Rimini per fare quello che lì non si può. Non si può, appunto, perché nessuno al governo vuole abdicare alla ‘difesa della vita a tutti i costi’. Non la Democrazia cristiana, certamente, ma neanche il partito simil-5 Stelle che governa adesso con la Dc, ovvero Rete, e neanche il centrosinistra di Libera. Tutti i progetti di legge non sono mai arrivati neanche alla fase della discussione. E per questo Uds, l’unione delle donne sammarinesi, questa volta ha deciso di fare da sé: con un referendum di iniziativa popolare. Servono circa mille firme per poterlo indire.

Elena D’Amelio fa parte del comitato esecutivo di Uds, e al telefono non si meraviglia della mia meraviglia: “Lo so, sembra incredibile a chiunque non viva qui. Ed è ancora peggio per le ragazze sammarinesi di vent’anni: parlano delle stesse cose delle loro coetanee, dalla body positivity al cat calling alle battaglie contro la tampon tax, poi però nel loro Paese vivono una realtà ferma a decenni fa, altro che shock culturale”. Anche perché, come abbiamo detto, quelle pene severe, da 3 a 6 anni, valgono per chi abortisce nei confini dello Stato: “Basta andare a Rimini e in un ospedale pubblico o privato, pagando in entrambi i casi, le donne possono abortire. Una zona grigia piena di storie: dalla ragazza giovane che non è pronta ad affrontare una gravidanza alla 40enne che scopre malformazioni gravi nel feto, o che rischia la vita portando avanti la gravidanza”. Una zona grigia, una delle tante, che è polvere sotto il tappeto: si fa ma non si dice, così non si rischia di sovvertire l’ordine costituito.

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Foto: Flash mob a Torino sul diritto all’aborto (Foto Agf)

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