Freeda parla del nostro Referendum
A San Marino L’Aborto È Ancora Illegale, Ma Forse Ci Sarà Un Referendum
Volete che sia consentito alla donna di interrompere volontariamente la gravidanza entro la 12a settimana di gestazione, e anche successivamente se vi sia il pericolo per la vita della donna o se vi siano anomalie e malformazioni del feto che comportino grave rischio per la salute fisica o psicologica della donna?
Scommetto che molti, come me, leggendo questa domanda, abbiano pronunciato un sì mentale senza esitazioni: ma questa non è una semplice domanda, è un vero e proprio quesito referendario, e a rispondere non dovremo essere noi, ma gli abitati della Serenissima Repubblica di San Marino, il piccolo stato europeo indipendente senza sbocco sul mare, stretto tra le regioni italiane di Emilia-Romagna e Marche. Con i suoi 61 km circa di estensione e quasi 34 mila abitanti, questo minuscolo paese, il terzo più piccolo d’Europa (facente parte del Consiglio d’Europa ma non dell’Unione Europea) è uno dei pochi a non aver ancora legalizzato l’aborto – insieme, come ricorda France 24, a Malta, Andorra, Città del Vaticano, una manciata di nomi cui ora si è in certo senso riaggiunta la Polonia. Ma se la raccolta di firme andrà bene, questo autunno, grazie al suddetto quesito referendario, San Marino si rimetterà finalmente al passo del resto del continente.
Stando a quanto riporta il Corriere della Sera, attualmente nel codice penale sammarinese (articoli 153 e 154) l’interruzione volontaria di gravidanza è reato punibile con una pena che va dai 3 ai sei anni di reclusione – a prescindere dalla ragione della scelta, sia anche lo stupro: una legge che, come già denunciato altre volte negli scorsi anni, costringe le donne sammarinesi che vogliono abortire ad attraversare i confini, venire in Italia e sborsare migliaia di euro per poter avere una procedura legale e sicura. Non sappiamo quante siano, sia per via della suddetta legge che punisce con il carcere, sia perché il servizio sanitario italiano garantisce l’anonimato: ma immaginiamo che siano tante, data la forte mobilitazione degli ultimi tempi. A San Marino accade insomma ciò che fino a qualche anno fa succedeva in Irlanda. E in effetti è proprio al caso irlandese che si ispira questo nuovo referendum, proposto dall’Unione Donne Sammarinesi (UDS) e dichiarato ammissibile dal Collegio Garante della Costituzionalità del paese lo scorso 15 marzo.
Nonostante il nome, la UDS è un’associazione che riunisce persone di ogni sesso e orientamento politico, tutte accomunate dall’obiettivo di realizzare della parità di genere a San Marino: non a caso, come spiega al Corriere Karen Pruccoli, legale rappresentante del comitato USD che promuove il referendum, la loro prima iniziativa (in questa nuova formazione, s’intende) è stata “annullare una discriminazione patita dagli uomini, che per legge non potevano ottenere il congedo di paternità”, presentando nel 2019 una cosiddetta “istanza d’arengo”, uno dei tre strumenti di democrazia diretta previsti dalla legge sammarinese, che in particolare consente ai cittadini del paese di sottoporre questioni che interessano alla popolazione all’attenzione del governo.
Come riferisce la stessa UDS sul suo sito, ricostruendo la storia dei diritti femminile nel paese, la condizione della donna a San Marino non è mai stata particolarmente felice: durante tutta la storia della piccola Repubblica e fino al secolo scorso, è stata sempre relegata a uno stato di inferiorità sociale e politica, oggetto di una tutela maschile costante, considerata inadatta a gestire la sua vita e i suoi beni al pari di un minorenne. Superato il secondo dopoguerra, ci sono voluti decenni perché le donne riuscissero a conquistare, come le loro vicine italiane, il diritto al voto attivo – concesso con una legge elettorale del 1958 entrata in vigore nel 1960 – i diritti politici e l’elettorato passivo – ottenuto con una legge del 1973, in cui finalmente si specificava anche il diritto femminile di disporre dei propri “beni non dotali”; inoltre, si è dovuto attendere il 1981 per vedere la prima donna ricoprire la carica di Capitano Reggente (uno dei due capi di stato di San Marino); nel 1982 venne anche proposto un referendum abrogativo per concedere alle donne la possibilità di mantenere la cittadinanza sammarinese sposando uno straniero, ma fu respinto.
Quando all’aborto invece, come racconta la sopracitata Pruccoli:
Gli articoli del codice penale che di fatto di fatto l’hanno messo fuori legge risalgono al 1865. Sono stati confermati in epoca fascista, come in Italia fu confermato il codice Rocco e poi riconfermati nel 1974. Poi ltalia nel 1978 regolamentò l’aborto e San Marino si girarono dall’altra parte, le norme rimasero pur senza portare a condanne, di cui non si ha memoria recente.
La ragione di questo “atteggiamento ipocrita” – come lo ha definito Pruccoli – che finora ha spinto le istituzioni del paese a fingere che l’aborto non si pratichi, deriva probabilmente dalla cultura e dalle forze politiche di stampo fortemente cattolico e conservatore – nonostante, come si legge sempre sul sito dell’UDS, negli anni ‘50 “San Marino aveva l’unico governo social-comunista di tutta l’Europa Occidentale”. Ma dal 2003 in poi le cose sono cambiate: i cittadini insieme alle forze politiche più progressiste si sono fatti avanti con varie proposte, anche sul fronte dei diritti LGBTQIA+. Infatti, a San Marino nel 2004 l’omosessualità è stata decriminalizzata, e nel 2017, su iniziativa popolare, il divieto della discriminazione basata sull’orientamento sessuale è stato inserito nell’articolo 4 della Costituzione Sammarinese. Per l’aborto invece, nonostante quasi 20 anni di tentativi, non si è ancora riusciti: per questo stavolta si è deciso di provare con il referendum, sperando che il popolo dica sì come nel caso dell’Irlanda.
La raccolta firme è già iniziata, e dovrebbe terminare entro la prima metà di giugno: possono parteciparvi sia gli elettori sammarinesi che i residenti che, pur non avendo diritto di voto, vogliano sostenere la causa. Speriamo che il referendum venga confermato, dato che sarà valido anche senza quorum, ossia senza raggiungere l’affluenza minima. In questo modo, le donne sammarinesi potranno finalmente conquistare il diritto a un aborto legale e sicuro, senza dover travalicare i confini del proprio paese.
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