Nessuna lesa maestà ad usare una lingua paritaria e inclusiva

Pubblicato da Unione Donne Sammarinesi il

In italiano è abitudine usare il maschile generico, detto anche sovraesteso, per indicare una collettività composta da generi diversi: tutti gli studenti, tutti i professori, tutti i colleghi ecc. per indicare sia uomini che donne. In ambito accademico e negli spazi femministi si dibatte però da tempo la questione dell’inclusività della lingua. Cosa significa? Significa due cose: la prima, che usare la forma maschile è scorretto, dato che la lingua italiana prevede anche il genere femminile; la seconda, che l’uso dominante del maschile sovraesteso non è una regola grammaticale scritta nella pietra, ma è il risultato di secoli di dominazione di un genere (il maschile) sull’altro (il femminile) nella società, nelle professioni ecc. Non stiamo a ricordarvi che le donne sono state considerate inferiori e quindi non meritevoli di diritti fino a pochissimo tempo fa. Ad esempio, come racconta bene la mostra curata dalla professoressa Valentina Rossi, le donne a San Marino hanno avuto il diritto di votare nel 1958 e di essere elette solo nel 1973, cioè l’altro ieri.

Le soluzioni proposte negli ambienti in cui si riflette sulle questioni dell’inclusività, della lingua e non solo, sono varie, tutte sperimentali e non obbligatorie per nessuno: c’è chi sceglie di usare sia il maschile che il femminile, ad esempio cari e care, tutti e tutte, signori e signore (che nell’ambiente dello spettacolo si usa già da tempi non sospetti); c’è chi preferisce l’asterisco (*) o la schwa (ə) nei momenti in cui ci si riferisce a una moltitudine mista o per includere anche le soggettività non binarie.

Non c’è nessuna lesa maestà nell’usare soluzioni alternative che possano essere il più possibile rispettose delle sensibilità di tutte le persone, in qualunque modo vogliano riconoscersi e identificarsi. Come ha affermato più volte Michela Murgia, se un problema per te non esiste, non significa che non possa esistere per altr*. Vera Gheno, nota sociolinguista, sottolinea inoltre che il maschile sovraesteso è figlio di una tradizione linguistica che ha sovrapposto il concetto di genere maschile al neutro, o almeno alla moltitudine indistinta. Una tradizione che, dopo secoli, non ha più ragione di esistere in una società che ha finalmente compreso il valore della parità di genere. A noi piace pensare che una società più equa e inclusiva passi anche dal linguaggio.

 

UNIONE DONNE SAMMARINESI

Comunicato stampa n. 84 del 26 settembre 2023

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