Per mesi nella Repubblica di San Marino un gruppo di donne ha lavorato incessantemente per un referendum che potrebbe portare a una svolta storica: legalizzare l’aborto nel paese. Il piccolo stato di circa 33mila abitanti tra Emilia-Romagna e Marche è uno dei pochissimi in Europa – insieme a Malta, Gibilterra, Andorra, Città del Vaticano e alla Polonia, che di recente ha introdotto un divieto quasi totale – in cui interrompere una gravidanza è reato.

Il codice penale prevede una pena dai tre ai sei anni di reclusione – per la donna che abortisce e per chiunque partecipi – a prescindere dalle ragioni della scelta: anche in caso di stupro o di gravi malformazioni fetali.

Nel febbraio 2021 l’Unione donne sammarinesi (Uds) ha proposto il quesito referendario che il 15 marzo il collegio garante della costituzionalità ha dichiarato ammissibile. Da allora l’organizzazione ha messo su banchetti ed eventi in piazze, bar e punti di ritrovo sul territorio. Il quesito chiede di legalizzare l’aborto entro le dodici settimane, e oltre questo termine se c’è un pericolo di vita per la donna o se ci sono gravi malformazioni del feto. La raccolta è finita il 31 maggio (in anticipo rispetto a quanto previsto) e lo stesso giorno una delegazione dell’Uds ha consegnato le firme autenticate.

“Sono 3.028, molte di più di quelle che ci servivano. Siamo fiduciose”, spiega Elena D’Amelio Mueller, del comitato esecutivo dell’Uds. Il 10 giugno il collegio garante ha validato le firme e quindi le organizzazioni attendono solo che venga fissata la data del voto. Così com’è accaduto in Irlanda nel 2018, la conquista del diritto ad abortire potrebbe passare per la volontà popolare.

Non tutte possono pagare
La vicinanza con l’Italia, dove l’interruzione volontaria di gravidanza (ivg) è legale dal 1978, ha fatto sì che a San Marino il divieto resistesse negli anni senza fare troppo rumore: nessuna sammarinese è stata condannata nella storia recente, le donne si sono spostate a Rimini o nel resto della Romagna per abortire in segreto e a pagamento. Anche se su questo non esistono statistiche e nessuno prova a raccogliere dati.

“Il prezzo da pagare è piuttosto alto”, spiega la dottoressa Francesca Nicolini, responsabile del centro salute di Serravalle, una delle unità amministrative in cui è divisa San Marino. “Per una sammarinese abortire in una struttura sanitaria italiana può costare circa duemila euro. Ma soprattutto diventa tutto molto complicato”.

Secondo Nicolini uno dei motivi per cui finora la cosa è stata trascurata è che “a San Marino c’è sempre stato un certo benessere economico” che ha permesso di affrontare le spese per chi non è a carico del sistema sanitario italiano. “Ora però il problema diventa serio perché non è vero che tutti possono permettersi certe cifre. Questo incentiva gli aborti clandestini, sempre oltreconfine, in strutture in cui magari ti fanno pagare meno”.